Figure di spicco femminili che hanno scritto la storia del XX secolo (XV episodio)
Sulla spinta della mostra, la prima per la città di Roma, ancora in corso a Palazzo Altemps, ho deciso di dedicare questo nuovo episodio della rubrica tutta al femminile di questo blog, a Virginia Woolf, di recente protagonista di una visita di Hedera Picta. Scrittrice chiave del Novecento, femminista, imprenditrice e porta verso il Modernismo.
Adeline Virignia Stephen nacque il 25 gennaio 1882 a Londra da Julia Jackson, vedova Duckworth, che, dal precedente matrimonio, aveva avuto tre figli: George, Gerald e Stella, e Sir Leslie Stephen, già padre di Laura. Virginia era la terzogenita della coppia: la prima fu Vanessa, sorella-madre-amica-amante (nella foto con Virginia), Toby, l’adorato Toby, e infine Adrian. La famiglia Stephen fu, quindi, da subito, una grande famiglia allargata. Vivevano a Hyde Park Gate, Kensington, in una grande ed elegante casa vittoriana. Sir Leslie, quando Virginia nacque, fu nominato direttore del Dictionary of National Biography, un’opera la cui importanza nel mondo anglosassone è stata paragonata al grande classico di Edward Gibbon, Decline and Fall of Roman Empire. Quando Virginia nacque Vanessa ne fu felicissima, sua sorella era talmente bella da essere chiamata Beauty, peccato che iniziò a parlare all’età di due anni, ma, da quel momento, la parola fu, a detta della sorella, un’arma letale in suo possesso. Nel 1895 la perdita della madre, seguita da quella della sorellastra Stella, la segnarono profondamente tanto che, quando nel 1904 i fratelli Stephen perderanno anche il padre, avrà la prima crisi depressiva. Fu allora che Vanessa prese gli orfani Stephen e li portò via da Kensington trasferendosi al 46 di Gordon Park a Bloomsbury un quartiere di Londra non proprio alla moda, soprattutto non vittoriano, ma centralissimo. La loro casa era vicino alla stazione di King’s Cross, da quella stazione si poteva arrivare a Cambridge o ad Oxford, che Virginia chiamava Oxbridge, crasi tra le due parole, per indicarne, in modo ironico, la rivalità reciproca e la chiusura al mondo femminile, essendo il tempio del sapere al maschile; il termine era staso inventato da William Strackeray nel suo romanzo Pendennis del 1849 per indicare il Boniface College dove studiava il protagonista del suo scritto (ne esiste la versione femminile nella parola Fernham per indicare i due college di Cambridge, Girton e William); si poteva arrivare al British Museum o alla British Library, al Trinity College o alla Slade School of Fine Arts. Bloombury era il centro del mondo dove, questi ragazzi, giovani leoni affamati di vita, avrebbero inventato un nuovo modo di fare poesia, letteratura, pittura, addirittura un nuovo modo di concepire la vita.

La casa di Bloomsbury non era una casa vittoriana, non aveva la carta da parati alla pareti, era dipinta di colore verde chiaro e bianco, il mobilio non era laccato ma bianco e di vimini, al piano terra un grande salone per gli incontri del giovedì sera, a Cambridge gli incontri avvenivano di sabato, al piano di sopra ognuno dei fratelli Stephen, comprese le sorelle Vanessa e Virginia, avevano una stanza tutta per sé. Avere una stanza tutta per sé fu una rivoluzione: da spazio fisico delimitato da quattro pareti diventerà lo spazio dove scrivere e quindi dove trasporre la propria creatività che risiede nella mente, luogo metafisico. La stanza diventa collegamento tra lo spazio fisico e metafisico della scrittrice rappresentando quella libertà di poter scrivere-vivere fondata sulla autonomia data dalla possibilità di guadagnare del denaro. Il lavoro rende liberi, il denaro rende una donna libera. La stanza quale rivendicazione della condizione femminile, quale elemento di riscatto della donna che può finalmente far valere se stessa. Una concezione marxista della vita che, agli inizi del’900, era impensabile. Una stanza tutta per sé vide la luce nel 1929 e la consacrò quale femminista e sostenitrice dei diritti femminili: questo saggio nacque dalla scrittura di due conferenze che tenne, sulla condizione della donna, nel tempio del sapere testosteronico, ossia Cambridge. La copertina era un orologio che segnava le 11.05, posizione in cui le lancette disegnano due V, le iniziali di Virginia, autrice del saggio , e Vanessa, autrice della copertina in quanto pittrice. A casa Stephen l’arte era di casa: Virginia scriveva, Vanessa dipingeva, Toby scriveva, morirà presto nel 1906, Adrian si dedicava alla fotografia. Prima di affermarsi come scrittrice Virginia insegnò agli operai in una scuola serale e poi alle donne sostenendo la lotta per il voto. Scriveva anche recensioni per il The Guardian dove però il suo nome raramente compariva, le recensioni venivano pubblicate anonime. Nel 1909 una zia la lasciò erede di 2.500 sterline permettendole di dedicarsi al suo primo romanzo The Voyage Out, 2.000 copie (Una stanza tutta per sè ne vendette quasi 3000), a seguire nel 1922 Jacob’s Room, dedicato al suo adorato Toby, Mrs Dalloway, nel 1925, Una Gita al faro, 1928, l’Orlando, la sua dichiarazione alla sua amante Vita Sackville West, Le Onde, 1929. A casa Stephen la libertà era anche sessuale. Vanessa sposò nel 1907 Clive Bell ma aveva due amati: Roger Fry uno dei 13 di Bloomsbury e Duncan Grant, omosessuale, con cui ebbe una bimba, Angelica; Virginia sposò nel 1911 Leonard Woolf ma non lo amò mai, amò invece Vita Sackville West, sua Musa per l’Orlando. Nel 1910 per i ragazzi di Bloomsbury la rivoluzione arrivò anche attraverso l’arte: a Roger Fry fu chiesto di organizzare una mostra e lui portò da Parigi Cezanne, Monet, Picasso, Gauguin, Van Gogh, che chiamò Post-Impressionisti, un arte moto che generò sdegno nei visitatori che non considerarono quelle opere arte ma spazzatura arrivando a sputare sui ” Girasoli” di Van Gogh. A casa Woolf, si stampavano, dal 1917, libri attraverso al Hogarth Press per facilitare i costi di pubblicazione e per non subire censure. Figli dell’età vittoriana e del Regno Unito la società voleva fossero prodotti omologati, concetto per i giovani di Bloomsbury lontano anni luce. Leggevano Freud, guardavano alla Francia e all’Italia come modello e all’America come luogo di libertà. (In basso Virginia con il marito Leonard Woolf).

Nel frattempo cresceva la depressione in Virginia mai abbandonata dal marito e dalla sorella. La guerra invase i suoi spazi e la rese fobica. Il 28 marzo del 1941 uscì di casa per prendere la strada verso i campi fino al fiume Ouse dove, all’età di 59 anni, si lasciò affondare dopo essersi caricata del peso di alcune pietre.