Sotto la foglia…

Riprendono le rubriche di Hedera Picta, a cui presto se ne aggiungerà una nuova nuova focalizzata sui miti, sulle usanze e sulle tradizioni antiche sia dell’ambito pagano che cristiano, arrivando a ben quattro vetrine di approfondimento.

La foglia sotto la quale oggi vorrei invitarvi a guardare si trova esposta all’interno della mostra ospitata nella tenuta di S. Maria Nova, al V miglio della Regina Viarum.

🤓La tenuta di S. Maria Nova è una delle ultime acquisizioni del Patrimonium Appiae, di cui entra a far parte ufficialmente nel 2006 con apertura al pubblico dal 2014. La struttura fortificata era parte dell’impianto termale della Villa dei Quintili, di proprietà dei fratelli Sesto Quintilio Condiano e Sesto Quintilio Valerio Massimo, fatti uccidere dall’imperatore Commodo che ne divenne il nuovo proprietario trasformandola in residenza privata. La cisterna dell’impianto termale venne trasformata in struttura turrita e fortificata al fine di rendere difendibile da parte dei pretoriani la figura dell’imperatore durante la sua permanenza. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la guerra greco-gotica furono determinanti per l’abbandono di molti contesti così lontani dalle mura urbiche, come S. Maria Nova, che andarono a confluire nel patrimonio della chiesa. Nello specifico si ha notizia nel 1291, che, il monastero di S. Maria Nova al Palatino, possedeva ampie porzioni di terreni sulla via Appia. Nel 1352 sul Palatino arrivò la Congregazione degli Olivetani che ebbero dai precedenti proprietari, i Sanguigni, la vendita della tenuta nota come Turris de Schiaccis, toponimo non chiaro, riconducibile alla parola silicis/selce, di cui è composto il paramento esterno, o alla parola scaci o scachi/scaccorum ludus; i recenti restauri nel vano superiore della torre hanno messo in evidenza un paramento murario a scacchiera caratterizzato da un duplice colore: argenteo e rosso, i colori dello stemma della famiglia dei Sanguigni, gli antichi tenutari. I monaci olivetani ne rimasero i proprietari, mantenendone il carattere agricolo, fino al 1866, quando, lo scioglimento delle congregazioni religiose a seguito dell’eversione dell’asse ecclesiastico, causò il sequestro dei beni della congregazione incamerati nei beni dello Stato per passare poi in mano di privati.

Attualmente è in corso una mostra “Patrimonium Appiae – Depositi Emersi“, dove sono in mostra i reperti emersi nelle ultime campagne di scavo che hanno interessato il vasto territorio del Parco Archeologico dell’Appia Antica, apportando nuove conoscenze e chiarimenti su soluzioni ferme ormai da troppi decenni.

In particolare la mia attenzione, tra le tante meraviglie presenti, è stata catturata da questo magnifico capitello corinzio proveniente dal Mausoleo di Gallieno al IX miglio della consolare. Il monumento, oggi in cortina laterizia, un tempo rivestito da lastre di marmo, si articola su due piani e si conserva per un’altezza di circa 11 m. Il piano inferiore, seminterrato e illuminato da finestre a bocca di lupo, è attraversato da un corridoio centrale coperto a botte che collega due varchi coperti ad arco. All’esterno la struttura è movimentata da quattro nicchie rettangolari aperte su un ambulacro anulare che doveva correre tutt’intorno ed essere da supporto per il colonnato corinzio del piano superiore da cui proviene il fotografato capitello. Di ottima manifattura il capitello è precedente alla costruzione del mausoleo datandosi tra l’età flavia e la prima metà del III secolo d.C. In parole povere, Gallieno o chi per lui, lo hanno riutilizzato. L’imperatore muore a Milano nel 268, ben dopo il II d.C., e in un momento particolare, nel pieno della crisi dinastica di III secolo che investì l’Impero e che fu successiva alla fine della dinastia dei Severi. Fu il primo, dopo Settimio Severo, a tenere il potere tanto a lungo, ben quindici anni, durante i quali cercò di ristabilire ordine ai confini di Roma. Morì a Milano mentre tentava l’assedio di Aureolo, ivi rinchiuso, ucciso dal comandante della cavalleria dalmata, secondo alcuni storici a causa di una brutta ferita riportata in battaglia. Designò Claudio (Claudio II, il Gotico) quale suo successore e volle essere seppellito a Roma, nel mausoleo di sua proprietà. Probabile che i lavori per la sua costruzione non furono direttamente seguiti dall’imperatore e per questo ci si prese la libertà di riutilizzare uno o più capitelli in un contesto imperiale.

Il capitello, nel dettaglio fotografato, riporta una lacuna, dovuta alla frattura di uno dei cauli, ossia dei racemi vegetali dell’acanto che costituiscono l’ossatura e la regia del capitello corinzio.

Nella seconda immagine di dettaglio la lacuna è stata “rattoppata” con una zeppa di marmo, per ripararne la lesione. Non è raro riutilizzare il materiale antico in buono stato ma osservare così da vicino i tentativi di riparazione e risarcitura lo è meno. Non deve sorprendere che sia stato applicato ad un contesto di prima qualità come una committenza imperiale, anche in considerazione delle miglia di distanza dalla dominante, Roma, a nove miglia dall’omonima porta cittadina. Il fenomeno dell’allontanamento da Roma era già iniziato ai tempi di Commodo, con la Villa dei Quintili, per poi accentuarsi con Massenzio, la sua villa era vicino Cecilia Metella e con Costantino, il Sessorium a Santa Croce in Gerusalemme.

La mostra, davvero interessante, sarà una delle nostre prossime tappe, da non perdere!!!

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