Sotto la foglia…

Il fico di via Margutta

Chi non conosce via Margutta, la via degli artisti, che con i suoi pittoreschi scorci incanta non solo i turisti ma anche noi Romani . Nonostante la sua notorietà l’origine del toponimo della via non è ancora del tutto chiaro: per i più deriva dall’unione delle parole ” maris gutta” goccia di mare, da cui poi Margutta, espressione per indicare questa viuzza laterale, retrostante i signorili palazzi di via del Babuino, utilizzata per posteggiare le carrozze e i carretti e attraversata da un non proprio limpido rigagnolo d’acqua proveniente dalla prospicente altura del Pincio che qui ristagnava. Siamo ben lontani dall’immagine odierna della via. Ma ecco che per nobilitare i natali della deliziosa viuzza una storia inventata di sana pianta che lega il suo nome a quello della famiglia Margut, la cui esistenza sarebbe provata dal censimento del 1526. Membro chiacchierato della famiglia fu un tal Luigi, per alcuni Giovanni, barbiere, che aveva qui oltre alla casa anche la sua bottega e che pare fosse eccezionalmente bravo oltre che spiritoso e arguto, e a cui fu dato il soprannome “Margutte” per sottolineare la sua grossa corporatura e la non proprio scenica presenza.

L’obiettivo, però, non è parlare delle bellezze della via, che sono tante, ma di una delle tante targhe presenti lungo i suoi fianchi. In particolare di due poesie incise su lastra poste l’una accanto all’altra e avente per oggetto una bella e rigogliosa pianta di fico.

La poesia di Giancarlo Parodi, 1984

Nella prima poesia il poeta Giancarlo Parodi ci racconta di questa meravigliosa pianta di fico cresciuta spontaneamente, come spessissimo accade a Roma, tra i sanpietrini e trasformatasi, nel corso degli anni, in un vero e proprio fusto. Contro ogni previsione, lottando contro il freddo e il vento, il caldo e l’afa, il fico si mostrava ogni giorno più bello e prepotente agli esercenti, agli abitanti e ai turisti che passeggiavano per la famosa via, tanto da meritarsi una piccola recinzione, un allargamento dello squarcio tra i sanpietrini, per respirare meglio, poverino, e cura e attenzioni dal gallerista che ha proprio lì il suo atelier. Divenuto un attrazione, lui, “er fico“, si è meritato un omaggio in versi dal Parodi e un elogio figurato dal marmoraro Fiorentini che, nel 1996, vi aggiunse il ritratto della mediterranea pianta sottolineandone la sinuosità e la snellezza.

Il pianto al fico caduto di Renato Merlino

Ma ecco che, improvvisamente, uno sbadato conducente di un camioncino per le consegne, urta il fico, causando la sradicamento della malcapitata pianta per la quale non ci sarà più nulla da fare: dolore, disperazione, incredulità… Eh già, scrive il poeta, interpretando il pensiero comune, sarebbe stato meno grave se fosse morta per l’età, chi lo sa da quando stava lì, si tirano numeri a caso, come nella migliore delle tradizioni popolari, una stagione eccessivamente piovosa, il caldo, il vento, un parassita, ma un incapace alla guida no. Ecco, in queste due bellissime poesie ce sta tutto er core de’ Roma e dei Romani, gente rozza, lo so, me ce metto pure io, ma di una sincerità e di una generosità rara. Siamo un pochino fanfaroni, abbiamo la “c” sdrucciola, raddoppiamo le consonanti e trasciniamo le vocali, apostrofiamo con colore e troviamo subito soprannomi o diminutivi alle persone, agli amici, che conosciamo da qualche minuto, ma su queste cose siamo così teneroni!!! Una pianta di fico cresciuta nel cemento riesce a scatenare gli animi di uomini grandi e grossi tanto da spingerli a comporre non solo una poesia della pianta in vita, ma anche un canto per la sua dipartita. Questo ha sempre affascinato e continuerà ad affascinare i visitatori della Città Eterna, questo il segreto della sua eterna bellezza: la capacità di fermarsi e dare voce anche ad una semplice pianta di fico cresciuta dal nulla, dignitosa e bella come tutto ciò che Madre Natura ci dona, basta saper guardar, basta saper leggere. Se vi capiterà di passeggiare per via Margutta fermatevi a leggere queste due bellissime trasposizioni scritte di quello spirito popolare raccontato da sempre da scrittori e poeti, ma che mai come in questo caso ci appare così vero e genuino.

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