Il Cristo della domenica
Avete mai sentito parlare di questa immagine popolare? Si tratta di un famoso tema dell’iconografia cristiana che veniva raffigurato sugli edifici religiosi, soprattutto in contesti di campagna, per ricordare ai fedeli che di domenica non si lavorava ma si doveva andare a messa e pregare il Signore. Così come Dio: “Il settimo giorno, Iddio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò “(Genesi 2:2–3), così il fedele doveva attenersi a tale pratica. Se si fosse ostinato a lavorare o a fare altro il Cristo ne avrebbe sofferto e avrebbe sanguinato. Questa singolare forma di convincimento religioso prese piede in Italia dalla metà del XIV secolo fino a tutto il XVI secolo ed ebbe grandissimo impatto su una popolazione contadina legata al mondo rurale, gente semplice e facilmente impressionabile.
Tra le poche immagini ancora conservate del Cristo della domenica ve ne è una di particolare bellezza nelle pieve di San Pietro di Feletto, nel cuore dei colli trevigiani, strada del vino prosecco, dove la vostra archeologa si trovava nel fine settimana. La pieve, dedicata a San Pietro Apostolo, è stata costruita ampliando le strutture di un precedente manufatto di epoca longobarda o, forse, pagana, del quale rimangono alcuni fregi e tracce di affreschi. La struttura architettonica, a capanna in stile romanico a tre strette ed alte navate, con il bellissimo porticato sulla facciata e sul lato del campanile, si distingue per originalità e ricchezza pittorica. All’interno, sulle pareti di sinistra, affreschi del ‘200 e del ‘300 di ispirazione bizantina rappresentanti San Pietro, la Crocifissione e le storie della natività, tra tutte impressiona l’imponente figura di San Cristoforo, rimasta incompiuta. Nel ‘400 la parete venne ridipinta con il ‘Credo’, conosciuto anche come la ‘Bibbia dei poveri’, con chiara funzione educativa nei confronti di fedeli che non sapevano leggere e scrivere e che avrebbero avuto in immagini facilmente riconoscibili punti di riferimento visivi e dottrinali.
Gli affreschi più antichi vennero scoperti solo nel 1957, quando, a seguito delle distruzioni del terremoto del 1873, la chiesa fu oggetto di un importante lavoro di consolidamento e restauro. In quell’occasione gli affreschi del’400 furono trasferiti sulla parete sinistra della navata centrale rimasta priva di rivestimento pittorico a seguito del suddetto terremoto, permettendo, a quella di destra, di mostrare lo strato pittorico ad esso precedente. Nel catino dell’abside domina il trecentesco ‘Cristo Pantocrator’ e tracce di figure più antiche, mentre nella controfacciata sopravvive parte del Giudizio Universale.

🤓L’affresco si trova nella facciata dell’antica pieve, sotto il grande e bellissimo porticato a travature lignee, uno dei rarissimi esempi oggi esistenti che, oltre a proteggere dalle intemperie la facciata con i suoi preziosi affreschi, ha svolto una importante funzione sociale. Qui sotto si riunivano le autorità religiose e civili, ma più ancora era il luogo prediletto dalla gente per ritrovarsi, per discutere o per ‘combinare affari’ dopo aver partecipato alla messa o alle funzioni. L’immagine, sita in alto, è da monito per tutti i fedeli: di domenica non si lavora altrimenti Cristo soffre e sanguina. Il concetto è chiaro, ma è interessante soffermarsi su che cosa fosse proibito fare la domenica, il giorno del Signore. Non colpisce tanto la resa materiale dell’affresco quanto la sua regia: il corpo del Cristo è al centro della scena, giganteggia, con la sua veste color ocra lunga fino ai piedi, scalzi. Sembrerebbe quasi un modellino anatomico di quelli utilizzati per le lezioni di medicina. Da ogni parte del suo corpo partono guizzi di sangue legati a strumenti del mondo contadino e a pratiche proibite la domenica. In particolare colpisce l’immagine di due figure distese in un letto, immaginiamo marito e moglie, colti in un attimo di intimità che, per quanto piacevole, distoglie dall’obbligo primario della domenica, recarsi a messa e pensare solo all’Altissimo. Vietato avere a che fare con il denaro, non sarà sfuggita all’attento lettore la manina con i soldini fruscianti, così come l’arco con le frecce, la balestra e lo schioppo che alludono alla pratica della caccia. Non si possono consumare alcolici, annebbiano la mente, e non solo, ed ecco che il barilotto e il boccale di birra scatenano un copioso sanguinamento al povero Cristo. In alto destra e a metà altezza a sinistra compaiono una serie di arnesi relativi alle ordinarie mansioni delle donne, le dominae domi, quali lavare, cucire, cucinare, fare la spesa, vietatissime. A dirla tutta forse le donne erano le uniche veramente felici dei precetti imposti nel giorno santo al Signore. L’aspetto che più mi ha incuriosito dell’affresco, oltre alla sua carica fortemente emotiva è la sua resa popolare: siamo lontanissimi dal Cristo delle pitture all’interno della pieve, qui il Signore ha l’aspetto di un contadino: volto sornione, poco regale, espressione compiaciuta, non molto sofferente, veste semplice, l’unico indizio di solennità è la croce dipinta all’altezza della cintura e la sua aureola; le braccia, sanguinanti in diversi punti, sono grosse così come le mani, indurite dal lavoro manuale dei campi. Diversamente non avrebbe toccato il cuore e l’animo del contadino, permettendo allo stesso di identificarsi con le sofferenze inferte al Signore dal mancato rispetto dei precetti domenicali. Altra sottolineatura, credo che oggi non tutti saprebbero riconoscere gli arnesi, avete visto il falcetto a mezza luna?, riportati nel pannello ormai solo un ricordo di un mondo contadino in via di estinzione.
