Il Fallo di Vindolanda, il più antico sex toy dell’antichità
Non sono impazzita, ve lo giuro, e vi giuro anche che la notizia è vera e attendibile. Tutto risale a qualche settimana fa quando l’Associazione Nazionale Archeologi venne chiamata per esprimere il proprio parere su una notizia che iniziava a circolare e che richiedeva chiarimenti soprattutto per l’oggetto in questione. A seguire l’intervista per chi fosse interessato. https://www.google.com/search?q=il+fallo+di+vindolanda+intervista+alessandro+garrisis&oq=il+fallo+di+vindolanda+intervista+alessandro+garrisis&aqs=chrome..69i57j0i546.14381j1j4.
Procediamo per piccoli passi, non si tratta di una vera scoperta bensì di una riscoperta di un oggetto rinvenuto qualche decennio fa ed erroneamente interpretato da chi lo studiò. Ci troviamo a Vindolanda, nel Northumberland, sulla linea di fortificazione del Vallo di Adriano, frontiera di separazione tra ciò che era Roma e ciò che era territorio inesplorato al di fuori dei confini della capitale (il vallo di Adriano sarà di poco allargato con la nuova linea imposta da Antonino Pio, ma bisogna dirlo, i Romani non ebbero mai particolare interesse per territori così inospitali e privi di risorse) qui, nel 1992, durante lo scavo di un deposito all’interno di un fosso ubicato all’esterno del forte suddetto, fu rinvenuto, assieme ad altri oggetti, per lo più scarti di lavorazione metallica e lignea, un manufatto ligneo che venne interpretato come un oggetto da cucito. A seguito di una revisione degli inventari stilati dopo lo scavo degli oggetti rinvenuti, ci si è resi conto dell’incompatibilità della sua descrizione con l’oggetto in se. Trasferito all’Università di Newcastle, è ora oggetto di nuove ricerche. Sfugge il motivo per cui si sia fraintesa la sua funzione vista l’indiscutibilità della sua forma. Il manufatto, della lunghezza di ben 16 cm, si mostra ben caratterizzato nella sua fisionomia, usurato nella parte terminale, stupisce per il suo stato di conservazione, impeccabile: ricordiamo come materiali quali il legno, normalmente deperibili, trovino in ambienti umidi e paludosi come quelli del Regno Unito, un ambiente ottimale di conservazione. Non è un caso che da queste zone provenga il maggior numero di reperti lignei, metallici e di cuoio.
Quale poteva essere la sua funzione? Diverse le ipotesi avanzate dagli studiosi. In particolare ci si vuole soffermare su un articolo scritto a due mani da due ricercatori dell’Università di Newcastle Rob Collins e Rob Sands che prendono in esame le diverse possibilità. Solitamente gli oggetti di questa forma hanno una funzione apotropaica, caso in cui, però, vengono realizzati con dimensioni più piccole, diventando ciondoli o amuleti, numerosi i riscontri a Pompei, ma il nostro reperto è assai più grande. A volte proprio per questa sua funzione di allontanamento del maligno, veniva dipinto su coppe e vasi che poi venivano donati, venivano impressi sulle lucerne che, nell’illuminare la via o la casa, allontanavano anche il nefasto. Le sue misure, però, lasciano tendere ad un diverso utilizzo: dalla foto si nota un incasso sull’oggetto attraverso il quale si potrebbe immaginare un suo innesto come parte sessualmente identificativa di una statua di culto utilizzata per rituali sulla fertilità. A tal proposito va menzionato Priapo, il dio che incarnava la mascolinità e la prestanza sessuale e che veniva enfatizzato nelle dimensioni del suo pene. Probabile che l’usura dell’oggetto sia legata all’usanza di toccarlo per rendere più efficace il rituale. Doveroso considerare il contesto di provenienza, il forte di Vindolanda, che, come si ricostruisce dalle evidenze epigrafiche, registrava una componente di soldati provenienti dalla Gallia, attuale Francia, provincia in cui numerosi erano i santuari legati a rituali connessi con la fertilità e in cui sono stati ritrovati ex voto dalla medesima forma accompagnati da manufatti riproducenti gli organi riproduttivi femminili.
Una seconda ipotesi è quella dell’oggetto ad uso personale, ossia legato al piacere sessuale. Non deve stupire questa sua possibile applicazione. Nella Lisistrata di Aristofane, le donne, per manifestare il proprio dissenso alla guerra del Peloponneso, che per trent’anni impegnò gli Ateniesi contro gli Spartani e che portò allo scioglimento della Lega delio-attica, indissero uno sciopero del sesso negandosi ai propri sposi, spesso lontani da casa per combattere, manifestando nelle strade agitando gli oligoì, giocattoli sessuali. Se ce lo dice Aristofane possiamo crederci.
Attualmente l’oggetto non è esposto al pubblico, ma, terminata la fase di studio, verrà esposto nella sua nuova chiave di lettura. Intanto del manufatto, forse per rimediare all’errore di interpretazione, sono state fatte tutte le analisi del caso tra cui anche un rilievo 3D.