Sotto la foglia…

La collezione lapidaria dell’American Academy in Rome

Ci sono luoghi che, con il passare del tempo, diventano così familiari da farti sentire parte integrante della loro magia e della loro bellezza. Per la vostra scrivente, uno di questi luoghi, è proprio l’American Academy in Rome a via Angelo Masina, sulle pendici sud del colle Gianicolo. Mi ha accolta matricola universitaria nel lontano 2002, tessera n. 212, una madre fondatrice, oserei dire, e mi accoglie ancora oggi non più studentessa. Già allora mi sembrò un luogo speciale, ai confini del tempo, con quel suo stile neorinascimentale, le fontane, il meraviglioso giardino con il Casino Malvasia (sarà oggetto di un racconto tutto suo, non temete), la presa diretta dei libri, gli enormi scaffali scorrevoli, il bar a disposizione degli utenti con i dolci fatti in casa. Ma ciò che mi ha sempre affascinata più di ogni altra cosa è che la MIA biblioteca custodisce sulle pareti del suo quadriportico di accesso una collezione lapidaria comprendente oltre 200 iscrizioni qui rinvenute e pertinenti ad una delle tante necropoli che insistevano sulla via Aurelia. Poteva un luogo simile non entrarmi subito nel cuore? E non finisce qui, l’Accademia insiste sui resti di un acquedotto romano, non uno qualunque, per intenderci, ma l’acquedotto Traiano che, da Bracciano capta le acque per portarle a Roma e alimentare il Trastevere, verso il quale discende dopo aver percorso la via Aurelia antica passando da un lato all’altro della consolare e diventando il muro di cinta della Signora del’600, Villa Doria Pamphilj. Dismesso dopo il taglio degli acquedotti operato dal goto Vitige, durante la guerra greco-gotica, fu ripristinato da papa Paolo V Borghese come acquedotto Traiano-Paolo, la cui mostra è, oggi, l’incantevole Fontanone del Gianicolo. Oltre ad avere sotto di se le vestigia di una via d’acqua imperiale, l’American Academy è anche a due passi da una delle consolari più importanti che Roma abbia mai avuto, la via Aurelia vetus, asse di collegamento verso il nord, oltre il valico alpino, sui cui lati insistevano necropoli e catacombe, essendo divieto seppellire entro le mura. Poco distante dall’edificio Porta Aurelia con i resti delle mura aureliane e al suo interno, o meglio come muro di delimitazione dei suoi undici ettari di giardino, le mura urbaniane che Urbano VIII Barberini fece realizzare per estendere la linea difensiva attorno al Vaticano in salita verso il Gianicolo.

American Academy in Rome, braccio destro del quadriportico.

🤓Oggetto della nostra rubrica sarà proprio la collezione lapidaria che tante volte ha stimolato la mia curiosità . L’edificio che ospita l’Accademia venne realizzato nel 1912, quando il maggiore J. P. Morgan acquistò un terreno a sud di porta Aurelia per realizzarvi l’attuale edificio che sarebbe diventato la sede dell’Accademia. Il contesto suburbano su cui sorse l’Istituzione Americana, nata nel 1894 per favorire il perseguimento degli studi e della ricerca nel campo delle “belle arti” e delle discipline umanistiche, si stava riprendendo dagli eventi del 1849 di cui fu protagonista come luogo della resistenza garibaldina e del suo triste e doloroso epilogo. Già alla fine del 1800 la filantropa Clara Jessup di Filadelfia, moglie del maggiore inglese Heylard, aveva acquistato la vicina Villa Savorelli, ex villa Farnese, dove fece eseguire importanti lavori di adattamento al suo “gusto neorinascimentale” cambiandone il nome in Villa Aurelia che donò all’Accademia. Con l’aggiunta del nuovo edificio l’American Academy aveva finalmente una sede istituzionale e una di rappresentanza. L’edificio si ispirò alle architetture neorinascimentali con una loggia a tre arcate sul prospetto principale e corpi laterali aggettanti e più bassi; tra queste ali il monumentale cancello di ingresso servito da un piccolo giardino con fontana a vasca circolare. In quell’occasione vennero rinvenute le oltre duecento iscrizioni attualmente murate nel cortile.

American Academy, cortile adiacente il quadriportico.

Si tratta di iscrizioni di carattere funerario sia pagane che cristiane di lingua greca e latina a cui si aggiungono frammenti di sarcofagi e di statue riferibili al medesimo contesto. Non stupisce la presenza di una necropoli a ridosso del confine con la città e in coincidenza con l’entrata in essa di una consolare come l’Aurelia vetus. Essendo divieto assoluto seppellire entro le mura, le “città dei morti”, le necropoli per l’appunto, prendevano vita subito dopo le porte urbiche su assi di facile accesso e di grande traffico sia umano che veicolare come la nostra Aurelia. Il carattere misto delle iscrizioni non deve stupire sia dal punto di vista linguistico, il greco e il latino erano ugualmente parlate e diffuse, sia dal punto di vista del credo religioso, pagani e cristiani seppellivano i loro defunti nelle medesime necropoli con una sola differenza: i cristiani non cremavano ma inumavano i loro cari e prediligevano gli ipogei o le catacombe in quanto cimiteri sotterranei comunitari dal costo decisamente inferiore rispetto ai mausolei di superficie visibili da tutti e per questo maggiormente costosi. La collezione, studiata, catalogata e documentata negli anni del suo ritrovamento, ha un valore documentario enorme per la ricostruzione di questo importantissimo settore del suburbio romano, oggetto, da parte della scrivente, di una ricerca quasi ventennale. Le iscrizioni sono tutte su supporto marmoreo, diversi i caratteri usati, molto simili le tipologie testuali. Ne riporto due come esemplificative di questo stupefacente repertorio inciso su marmo che tanto ci restituisce della vita quotidiana, degli usi e dei costumi dei nostri antenati.

Nel primo esempio riportato abbiamo un testo breve e sintetico inciso su lastra marmorea bianca con bei caratteri e regolarmente impaginato; grammaticalmente corretto è incorniciato da un solco che ne delinea il campo epigrafico sormontato da una lunetta anch’essa incisa e angolarmente decorata da due acroteria. Il testo recita : D(iis) M(anibus) / Epicteto / Benemerenti / Coiunx Sua, ovvero: “Agli Dei Mani / A Epicteto / benemerito / da parte della sua consorte“. Il testo si apre con un’invocazione agli Dei Mani, gli “Dei benvolenti”, che erano le anime dei defunti identificate con le divinità dell’oltretomba. L’apertura con tale invocazione ascrive l’epigrafe all’ambito pagano ed esprime il dolore da parte di una moglie per la perdita del marito che ci descrive come una persona corretta e stimata. Il testo, su supporto marmoreo è inciso da un lapicida di professione, lo si deduce dall’impaginazione e dalla corretta grammatica in aggiunta alla presenza dei segni di interpunzione e della bella grafia, rivelando un contesto socialmente elevato; probabilmente proviene da un colombario o da un mausoleo alle cui pareti era affisso.

La seconda epigrafe presenta un testo più elaborato che, come per la prima, trova innumerevoli riscontri e confronti. ” D(iis) M(anibus) / Cellio Balentino / Marito Benemerenti/ Sertoria Calliste / Cum quo vixit ann(os) / X Bita Sine Lite “; ovvero : “Agli Dei Mani / A Sertorio Balentino / marito benemerito / da parte di Sertoria Calliste / con il quale visse anni / dieci di vita senza lite”. Medesima apertura di testo, e quindi medesimo contesto di pertinenza, si tratta di una dedica da parte della moglie Sertoria Calliste, il cognomen è un grecanico, sintomo di una provenienza straniera della donna, forse una prigioniera di guerra tradotta in schiavitù e poi manumessa o semplicemente una straniera a Roma che ha sposato un romano. Errore di trascrizione nel cognomen del defunto la b e la v venivano spesso traslitterate, stessa disattenzione per la parola vita scritta bita. La presenza della fogliolina di edera, deliziosa, come segno distinguente tra le parole è una variante al triangolo visto nella precedente epigrafe. La formula di chiusura sine lite, è molto comune e vuole sottolineare un rapporto coniugale all’insegna del reciproco rispetto e amore della durata di ben dieci anni di vita insieme. Anche in questo caso il contesto doveva essere elevato, forse erano dei commercianti, l’iscrizione di forma rettangolare, dove essere collocata all’interno di un colombario o di una mausoleo.

Gli esempi riportati non sono che una minuscola parte del ricchissimo repertorio conservato nell’American Academy; il mondo dell’epigrafia funeraria è affascinante in quanto espressione di quella sfera del privato così intima in quanto pertinente al dolore per la scomparsa di un marito, di un figlio, di un fratello o di una sorella; dolore che ancora oggi si esprime in forme così delicate e che ci sottolinea quanto sia sottile il filo rosso che ci unisce alla nostra storia passata.

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